Considerazioni Finali Bankit
L'incertezza sul conflitto in Ucraina rallenta la crescita globale
Lo scorso 31 maggio, come di consueto, il governatore della banca d’Italia ha diffuso le proprie “considerazioni finali” sullo stato dell’Economia. A fronte di un bilancio sostanzialmente positivo per lo scorso anno, il discorso si è soffermato sui rilevanti fattori di incertezza determinati dal il conflitto in corso Ucraina a seguito dell’invasione russa e dagli effetti che questo tragico evento sta avendo sugli equilibri geopolitici internazionali e sulle prospettive di crescita dell’economia mondiale.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia alla fine di febbraio segna una drammatica cesura nella storia recente. Ha innescato una grave crisi umanitaria e fatto riemergere tensioni tra le diverse aree del mondo che negli ultimi trent’anni sembravano essere state, se non del tutto superate, durevolmente ridotte. Il nostro primo pensiero è oggi rivolto alla popolazione ucraina, a chi ha perso la vita, alle persone costrette ad abbandonare le loro case, a coloro che hanno visto sconvolta la propria quotidianità. La guerra ha anche peggiorato di colpo le prospettive di crescita dell’economia mondiale, in una fase in cui i danni inferti dalla pandemia non sono ancora del tutto riparati. L’incertezza è drasticamente aumentata a livello globale, investe i pilastri sui quali si basa l’assetto economico e finanziario internazionale emerso dalla fine della Guerra fredda: la convivenza pacifica tra le nazioni, l’integrazione dei mercati, la cooperazione multilaterale.
Il progressivo inasprimento delle tensioni geopolitiche ha notevolmente acuito il rialzo dei corsi dell’energia connesso con la ripresa dell’attività economica dopo la crisi sanitaria. Ne hanno risentito soprattutto le quotazioni del gas in Europa, che dallo scorso settembre si sono portate in media a circa 90 euro per megawattora, con picchi attorno ai 200 euro, da poco più di 10 nei mesi precedenti la pandemia .
L’aumento è stato molto più contenuto negli Stati Uniti, da quasi 10 a circa 20 dollari. Sebbene la Russia pesi solo il 2 per cento nel commercio mondiale, essa è tra i principali esportatori di petrolio e di gas nonché di concimi e, assieme proprio all’Ucraina, di cereali. Secondo le quotazioni di mercato, i prezzi di questi prodotti resterebbero molto elevati nel 2022, diminuendo solo di poco nei prossimi due anni. I rincari dei beni agroalimentari e le difficoltà nel loro approvvigionamento rischiano di colpire soprattutto gli strati più vulnerabili della popolazione mondiale e i paesi più dipendenti dalle loro importazioni.
Il conflitto in Ucraina sta determinando un significativo rallentamento dell’economia mondiale; le recenti misure adottate in Cina per contrastare nuovi focolai epidemici aggravano questa tendenza, riacutizzando i problemi di rifornimento nelle catene globali del valore già osservati nel 2021. Il Fondo monetario internazionale stima un aumento del prodotto mondiale del 3,6 per cento per quest’anno, quasi un punto percentuale in meno della previsione di gennaio e inferiore di circa 1,5 punti a quella dello scorso ottobre. L’inflazione, che in tutte le economie ha in larga parte riflesso i rialzi dei corsi delle materie prime, rimarrebbe elevata, per poi calare nel 2023. Questo scenario si basa su ipotesi relativamente favorevoli riguardo ai prezzi e alla disponibilità di beni energetici e alimentari, ipotesi che dipendono strettamente dagli sviluppi del conflitto in Ucraina e dalle conseguenti sanzioni nei confronti della Russia. Non è trascurabile il rischio che il rallentamento dell’attività, anche per l’evoluzione ancora incerta della pandemia, risulti più marcato.
Il quadro congiunturale si è deteriorato anche nell’area dell’euro, che è particolarmente esposta agli effetti economici del conflitto. Secondo le stime più recenti, quest’anno la crescita del prodotto dovrebbe risultare inferiore al 3 per cento, ben al di sotto di quanto previsto pochi mesi fa; un incremento già in larga parte acquisito grazie alla forte ripresa del 2021 e che implicherebbe quindi solo una modesta espansione dell’attività in corso d’anno. Il rischio di un andamento meno favorevole è significativo. Come per le altre economie che importano beni energetici, lo shock di offerta ha rilevanti ripercussioni anche sulla domanda: il peggioramento delle ragioni di scambio incide negativamente sulla disponibilità di risorse di famiglie e imprese, frenando consumi e investimenti.
All’indebolimento del quadro congiunturale contribuiscono inoltre il diffuso calo della fiducia e le fragilità nel commercio internazionale. In aprile i prezzi al consumo hanno registrato un aumento del 7,4 per cento rispetto allo stesso mese dello scorso anno, sospinti dai rincari dell’energia e, in minore misura, dei prodotti alimentari . Al netto di queste componenti, l’inflazione è stata pari al 3,5 per cento, risentendo anch’essa della trasmissione dei maggiori costi dei prodotti energetici ai prezzi finali degli altri beni e dei servizi.
Negli Stati Uniti, invece, l’inflazione di fondo, pari al 6,2 per cento, è di soli due punti percentuali inferiore a quella complessiva, riflesso soprattutto del surriscaldamento della domanda. Secondo le ultime previsioni delle maggiori istituzioni internazionali e degli analisti privati, la crescita dei prezzi nell’area dell’euro si manterrà elevata quest’anno per poi flettere in modo deciso nel 2023 e tornare successivamente su valori coerenti con la definizione di stabilità monetaria della Banca centrale europea (BCE), che consiste in un’inflazione pari al 2 per cento nel medio termine .
Il quadro congiunturale è quindi sostanzialmente mutato negli ultimi mesi. Scongiurato il rischio di deflazione, che aveva richiesto l’introduzione di misure di politica monetaria non convenzionali, e superato l’impatto della pandemia sulla domanda finale, non vi sono più preclusioni all’abbandono della politica di tassi ufficiali negativi. Il rialzo, che il Consiglio direttivo della BCE potrà decidere di avviare nell’estate, dovrà procedere tenendo conto della incerta evoluzione delle prospettive economiche.
Sulla normalizzazione della politica monetaria vi rimando al podcast precedente dedicato a questo tema.
Di seguito i passaggi conclusivi della relazione del governatore:
Ci troviamo ora ad affrontare una nuova crisi, determinata dall’invasione russa dell’Ucraina. Al dramma per la popolazione di quel paese, che può solo attenuarsi con una rapida cessazione della guerra, si accompagnano conseguenze gravi sul fronte dei prezzi e dell’approvvigionamento dei prodotti energetici e di quelli alimentari. Nel breve periodo tra i paesi più colpiti vi saranno quelli europei, maggiormente dipendenti dal gas russo, e quelli più poveri, che già faticano ad assicurare il necessario approvvigionamento di materie prime agricole e concimi. Per quanto difficili da prevedere, potenzialmente gravissimi possono essere gli effetti del conflitto sugli equilibri internazionali di più lungo periodo, sull’apertura dei mercati e sugli scambi, non solo di merci e capitali, ma soprattutto di informazione e conoscenza.
L’Europa, che ha sempre puntato su un assetto mondiale basato su regole condivise, avrebbe da perdere più di altri da un mondo dominato da divisioni e conflitti. Dalla fine della Guerra fredda il processo di globalizzazione dell’economia ha portato indubbi benefici, con una netta diminuzione della povertà estrema a livello mondiale anche se con un accentuato aumento della disuguaglianza nella distribuzione di redditi e ricchezza all’interno di molti paesi. Già prima dell’attacco della Russia all’Ucraina si discuteva di come correggerne i più evidenti difetti, sempre tuttavia mantenendo i vantaggi conseguiti nell’ultimo trentennio. Problemi globali come le pandemie e le emissioni di gas a effetto serra non possono che richiedere risposte globali.
Scriveva, all’instaurarsi degli accordi di Bretton Woods, Luigi Einaudi: “La cooperazione internazionale ha in passato sempre giovato più ai poveri che ai ricchi. Così sia anche stavolta. Ma così sarà solo se noi fermamente lo vorremo”. E ancora prima, nel pieno del secondo conflitto mondiale, Einaudi sottolineava che “gli Stati nazionali sono sempre meno influenti a fronte dello sviluppo dell’interdipendenza economica su scala planetaria” e che frontiere aperte sono artefici di prosperità, perché: “Libertà di scambi economici internazionali vuol dire pace”. È difficile dirlo meglio: la cooperazione internazionale non deve cedere il passo. La necessaria riflessione sul governo della globalizzazione non deve venire offuscata dalla sfiducia e dalle tensioni che derivano dal conflitto in atto; va invece coltivata con il massimo impegno, mantenendo aperto il dialogo, la speranza che la guerra, per la quale esprimiamo netta e totale condanna, cessi al più presto.