Un editoriale recente dell’Economist fa il punto sull’andamento dell’economia mondiale analizzando le rilevazioni di alcuni indicatori ad alta frequenza. Secondo questo tipo di analisi, per il momento permangono prospettive di crescita anche se inferiore a quanto ipotizzato in precedenza.
Se definiamo come recessione mondiale un calo anno su anno del pil pro-capite, a partire dal 1900 fenomeni di questo genere si sono verificati in media con una frequenza di una volta ogni 10 anni. Nel 2020 abbiamo assistito al crollo più rilevante dalla fine della seconda guerra mondiale e al momento sussistono ci sono diversi fattori di preoccupazione in merito alla possibilità che possa verificarsi una nuova recessione globale già quest’anno.
La guerra in Ucraina ha innescato un aumento dei prezzi dei generi alimentari e dell'energia, che ha colpito il reddito disponibile delle famiglie. Le chiusure in Cina stanno interrompendo le catene interazionali di distribuzione dei prodotti e dei fattori produttivi. Le banche centrali stanno rapidamente aumentando i tassi di interesse per contenere l'inflazione. I timori sullo stato dell'economia mondiale hanno scosso i mercati finanziari. Nell'ultimo mese i mercati azionari dei paesi ricchi sono scesi di quasi un decimo. Gli asset rischiosi, come i titoli tecnologici e le criptovalute, hanno subito un duro colpo. A seguito di tutti questi fenomeni i principali centri di ricerca rivedendo al ribasso le previsioni sulla crescita globale.
Guardando alla fiducia dei consumatori può sembrare che la recessione sia già arrivata. Nei paesi aderenti all’ OCSE, che rappresentano oltre il 60% del PIL globale e includono le economie più sviluppate, gli indicatori che misurano la fiducia dei consumatori sono scesi ad un livello inferiore al momento in cui il coronavirus ha colpito per la prima volta. L'indicatore del sentiment dei consumatori americani, calcolato dall'Università del Michigan, questo mese è sceso al livello più basso degli ultimi dieci anni, secondo una stima preliminare pubblicata il 13 maggio. Gli intervistati sono diventati più pessimisti rispetto alla propria situazione finanziaria e sono in pochi quelli che vedono il presente come un momento positivo per acquistare beni durevoli, a causa dell'alta inflazione. Se quanto rappresentato da questi indici si dovesse tradure in una effettiva riduzione dei consumi le ripercussioni sulla crescita sarebbero rilevanti.
Tuttavia guardando ad altri indicatori emerge una prospettiva meno negativa. Le prenotazioni di ristoranti a livello mondiale su OpenTable, un sito web di prenotazioni, sono ancora al di sopra della norma pre-pandemia. In America l'occupazione degli alberghi mostra ancora segni di miglioramento. Una misura ad alta frequenza delle abitudini di spesa dei britannici, costruita dall'Office of National Statistics e dalla Banca d'Inghilterra, denota pochi segnali le persone stiano rinunciando ad attività sociali o ad acquisti che potrebbero essere rimandati.
Va inoltre considerato che, nonostante l’inflazione riduca il potere d’acquisto, molti consumatori dispongono di una riserva di liquidità accumulata durante la pandemia. Secondo le stime dell’Economist, le famiglie dei paesi OCSE possono contare su circa 4 miliardi di dollari (pari all’8% del PIL) e si tratta di somme che non sono concentrate nelle mani degli individui più ricchi: le famiglie americane a basso reddito registrano saldi sui propri conti correnti superiori del 65% rispetto al 2019.
Le imprese presentano anche profili maggiori di resilienza: sebbene nel corso della presentazione dei risultati di bilancio molti capi azienda si siano lamentati della crescita dei costi, l’indicatore sulla fiducia delle imprese dell'OCSE risulta molto positivo . I dati di Indeed, un sito di annunci di lavoro, suggeriscono che anche se la crescita delle offerte nei Paesi ricchi si è ridimensionata, la loro numerosità rimane elevata. Gli analisti della banca JPMorgan Chase ritengono che la spesa globale in conto capitale sia aumentata del 7,6% nei primi tre mesi dell'anno, rispetto all'anno precedente, il doppio del tasso registrato alla fine del 2021.
Alcuni Paesi presentano prospettive peggiori, in particolare Russia e la Cina. Secondo un "indicatore di attività corrente" calcolato dalla banca d’investimento, Goldman Sachs, sulla base di un mix sondaggi e dati ufficiali, l'economia russa ha subito un forte rallentamento da quando i Paesi occidentali hanno imposto sanzioni in risposta all'invasione dell'Ucraina. In Cina, dove la strategia zero-covid del governo ha portato alle più severe misure di blocco dall'inizio del 2020, l'economia potrebbe essere in contrazione. I dati pubblicati il 16 maggio hanno mostrato che la produzione industriale è scesa del 2,9% ad aprile, rispetto a un anno prima, e le vendite al dettaglio sono crollate di oltre l'11% (prima di aggiustare per l'inflazione). Secondo Ting Lu e colleghi di Nomura, un'altra banca, il 10 maggio 41 città che rappresentano quasi il 30% del PIL cinese erano ancora in blocco totale o parziale. L’impatto concreto sulla crescita può essere misurato da alcuni indicatori “real time”, ad esempio gli incassi al botteghino dei cinema registrati al 4 maggio sono sotto dell’82% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Nel complesso tuttavia l’outlook degli altri paesi risulta meno negativo. Adattando una serie di dati settimanali sul PIL di 45 Paesi, tra cui India, Indonesia e G7, prodotta da Nicolas Woloszko dell'OCSE sulla base di ricerche su Internet, si stima che la crescita del PIL globale sia rimasta stabile nelle ultime settimane. Nel complesso, la misura dell'attività economica di Goldman è inferiore a quella dell'inizio del 2021, quando le economie hanno riaperto i battenti, ma è ancora su livelli accettabili.
E’ ovviamente possibile che la situazione possa peggiorare, in particolare nel caso in cui la Russia limitasse o chiudesse le forniture del gas all'Europa; la Cina inasprisse ulteriormente le restrizioni ed se le banche centrali fossero costrette ad aumentare i tassi di interesse più velocemente di quanto attualmente previsto. Inoltre, secondo gli analisti di JP Morgan storicamente tensioni sul mercato del lavoro come quelle osservate oggi sono sempre state seguite da una recessione. Stando alle analisi dell’economist, almeno per il momento, la dodicesima recessione globale dal 1900 non dovrebbe essere ancora iniziata.
Riferimenti: