La finanza in soldoni è un Podcast di educazione e informazione finanziaria a cura di Massimo Famularo
Premessa la doverosa condanna del terribile attacco perpetrato da Hamas ai danni di Israele, proviamo brevemente a commentare quali potrebbero essere gli effetti del conflitto iniziato da pochi giorni e, soprattutto, valutare se può essere opportuno per i risparmiatori privati mettere in pratica qualche strategia difensiva. La risposta veloce è che non ci dovrebbero essere al momento elementi di preoccupazione.
Come stanno reagendo i mercati di fronte a questo nuovo conflitto?
Una prima reazione fisiologica, come evidenziato dalla newsletter di Intregrae SIM, sta spingendo gli operatori finanziari verso beni rifugio come il dollaro Usa, che, quest’anno si è apprezzato del 2,1% anche a causa della politica restrittiva della Federal Reserve e dell’Economia che appare al momento meno indirizzata verso la recessione rispetto all’Europa. Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm, ha inoltre evidenziato che il rafforzamento della valuta americana potrebbe esercitare pressioni sui Paesi importatori di energia, in particolare gli Emergenti come India e Cina. Le ostilità in Medio Oriente hanno portato anche un’impennata dei prezzi di petrolio e gas naturale.
Scenario negativo soprattutto per l’Europa, che importa entrambe le commodity e presenta al momento concreti segnali di recessione (ieri la produzione industriale tedesca ad agosto ha deluso le attese) con conseguente prospettiva di una possibile “stagflazione”, condizione particolarmente negativa nella quale sono presenti sia elevata inflazione che crescita nulla o negativa dell’economia. Al momento, dunque, le preoccupazioni sono per il momento limitate perché Israele e Palestina, non sono produttori di petrolio, diverso e più rischioso potrebbe essere lo scenario di un estensione del conflitto anche a paesi come Iran, Arabia Saudita e Quatar
Quali sono i primi commenti sulla situazione?
I principali indici sono saliti nonostante gli sconvolgimenti geopolitici in Medio Oriente, probabilmente nella prospettiva che un rialzo del prezzo del petrolio e del gas possa favorire le aziende che producono e distribuiscono questi prodotti e che una maggiore spesa militare possa favori le imprese che operano nella produzione di armamenti. Ma secondo la maggioranza dei commentatori si tratta per lo più di reazioni impulsive e bisognerà attendere qualche tempo per cogliere un indirizzo più strutturale. Secondo Quincy Krosby, chief global strategist di LPL Financial finchégli sforzi diplomatici continueranno a concentrarsi sul contenimento del conflitto, il mercato guarderà a questa situazione senza particolari preoccupazioni. Mentre secondo Meera Pandit, global market strategist di JPMorgan Asset Management, l'impatto a lungo termine degli eventi geopolitici tende a essere in qualche modo contenuto".
Cosa possiamo concludere per il momento?
Che i rischi di conseguenze per i mercati finanziari appaiono al momento limitati e in ogni caso dipendono da quanto il conflitto si estenderà eventualmente ai paesi produttori di petrolio e gas. Peraltro, l’esperienza recente della guerra in Ucraina ancora in corso ha evidenziato che le conseguenze sui mercati finanziari si sono concentrate in un intervallo temporale breve e sono state legate essenzialmente ai timori per le conseguenze delle sanzioni nei confronti della Russia e in particolare al congelamento delle riserve detenute all’estero
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Quali conclusioni si possono trarre per gli ascoltatori del pocast?
Che le incertezze legate al conflitto sono ancora molto elevate sia in merito all’intensità, che alla durata e all’estensione geografica, dunque qualsiasi previsione risulta prematura e condizionata ai differenti scenari che si possono verificare. Per chi investe con un’ottica di medio e lungo periodo non dovrebbero esserci particolari preoccupazioni e allo stato non si intravedono elementi tali da suggerire una revisione la propria strategia. Alcune variabili da monitorare, con particolare riferimento all’Italia, che si caratterizza per un debito pubblico molto elevato e una conseguente fragilità, riguardano sicuramente la congiuntura del nostro paese, che appare in peggioramento nel terzo trimestre, quella degli altri paesi europei e in generale l’inflazione che rimane lo scoglio da superare stabilmente prima di osservare la fine dei rialzi nei tassi di interesse e auspicabilmente una loro riduzione.
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