La finanza in soldoni è un Podcast di educazione e informazione finanziaria a cura di Massimo Famularo
Questa settimana sono attesi due rialzi dei tassi da parte delle banche centrali e le dichiarazioni che accompagneranno le misure di politica monetaria potrebbero aiutarci a comprendere quanto siamo vicini alla fase conclusiva della politica monetaria restrittiva. Come abbiamo evidenziato negli episodi scorsi, permane una sorta di contrapposizione tra l’ottimismo dei mercati, che hanno corso molto nel primo semestre e il realismo degli economisti e dei banchieri centrali che ci ricordano che il peggio non è ancora passato.
Domani, si riunirà il direttorio delle Fed per prendere una decisione sulla politica monetaria. Secondo le rilevazioni riportate dalla newsletter di Integrae Sim attualmente le probabilità di un aumento di 25 punti base dovrebbe sfiorare il 100% Il tasso di riferimento arriverà così al 5,25-5,50%, il livello più alto dal gennaio 2001. La Bce si riunirà il giorno seguente e anche in questo caso ci si aspetta un aumento di 25 punti, che porterà i tassi al 4,25%, il livello più alto dal settembre 2001.
Attualmente gli operatori dei mercati stimano per la Fed la probabilità che il prossimo 20 settembre i tassi restino invariati all’85%, e così dovrebbe essere sino alla riunione del 31 gennaio 2024, quando i trader stimano una probabilità del 30% che il costo del denaro venga ridotto di 25 punti. Per consolidare questa aspettativa continueranno ad essere fondamentali i dati macroeconomici.
Ieri Francia e Germania hanno diffuso gli indici Pmi manifatturieri, in entrambe i casi sotto le attese, e inferiori ai 50 punti, soglia delimita la recessione dall’espansione dell’economia. Il dato dell’eurozona ha addirittura fatto segnare il minimo da 38 mesi. In Usa invece l’indice dei direttori agli acquisti del settore terziario a luglio, ha deluso le attese, posizionandosi però ancora leggermente sopra la soglia di 50, ovvero 52,4 dall’attesa di 54. Segnali che indicano l’inizio di una fase di recessione a partire dalla seconda parte dell’anno in corso. Nel frattempo il petrolio sale sui massimi da 3 mesi riaccendendo i timori per una ripresa dell’inflazione.
Vi ricordo che potete scrivere all’indirizzo email mfamularoblog@gmail.com per fornire spunti, suggerimenti o formulare delle richieste su come indirizzare questa rubrica. Vi ricordo anche che ultimamente sto realizzando dei percorsi di educazione finanziaria nelle scuole e degli incontri di formazione inquadrati nei programmi di welfare aziendale
E’ abbastanza improbabile che dati così recenti possano influenzare le decisioni di Fed e Bce dei prossimi giorni, tuttavia potrebbero influire sulle dichiarazioni riguardanti la politica monetaria dei prossimi mesi. Nel frattempo gli operatori dei mercati sembrano voler rimanere ottimisti, mentre un’editoriale dell’Economist della scorsa settimana ci suggerisce almeno 3 motivi per i quali il cosiddetto “atterraggio morbido”, ossia il ritorno ad una crescita economica senza attraversare prima una fase di recessione, potrebbe non essere scontato.
Il primo è che l'inflazione, sebbene più bassa, rimane ben al di sopra degli obiettivi delle banche centrali del 2%. Il calo del tasso di inflazione in America è stato determinato da un calo una tantum dei prezzi dell'energia: se si escludono i prodotti alimentari e l'energia, i prezzi sono più alti del 4,8% rispetto a un anno fa. Nell'area dell'euro il dato è del 5,5%, e in entrambe le economie i salari crescono ancora molto di più della crescita della produttività.
In altre parole, per i paesi più sviluppati c’è ancora un pezzo di strada da fare prima di dichiarare la vittoria sull’inflazione e l’“ultimo miglio” potrebbe essere il più difficile. Potrebbe infatti configurarsi un dilemma per i banchieri centrali: insistere con la politica restrittiva, eventualmente con ulteriori rialzi, fino al raggiungimento pieno dell’obiettivo del 2%, oppure rinunciarvi tacitamente
Il secondo rischio è che, mentre il mondo sta vedendo ora i benefici del raffreddamento, i costi potrebbero non essere visibili per un po'. Finora il mercato del lavoro americano si è riequilibrato in modo abbastanza indolore, con un calo delle offerte di lavoro disponibili senza ridurre i posti di lavoro. Dunque le assunzioni sono ancora forti e i licenziamenti sono rari. Con la minore disponibilità di posti di lavoro, la crescita dei salari è diminuita.
Tuttavia, nessuno sa per quanto tempo il mercato del lavoro possa perdere grasso anziché muscoli - e negli ultimi mesi il calo delle offerte di lavoro si è arrestato in modo preoccupante. In tutti i paesi sviluppati è evidente che le imprese, segnate dal ricordo della carenza di manodopera, hanno accumulato lavoratori di cui non hanno bisogno; in molti paesi le ore medie lavorate sono diminuite. Se le imprese dovessero decidere che è troppo costoso aggrapparsi a lavoratori che potrebbero o meno essere necessari in futuro, i licenziamenti potrebbero aumentare bruscamente.
Il terzo pericolo è che le divergenze tra le grandi economie mondiali fanno sì che, anche se la pressione sulla Fed si allenta, i responsabili delle politiche in altre parti del mondo restino preoccupati. La Gran Bretagna sta festeggiando un calo dell'inflazione annuale superiore al previsto a giugno, ma con una crescita sottostante dei prezzi e dei salari di circa il 7% rimane un'anomalia Il Giappone ha appena iniziato la sua stretta monetaria; con l'aumento dell'inflazione, la Bank of Japan potrebbe ritoccare nuovamente il tetto ai rendimenti obbligazionari a lungo termine alla fine di luglio. La Cina potrebbe essere alle prese con un rallentamento strutturale della crescita in cui l'economia è appesantita dai debiti inesigibili, come il Giappone all'inizio degli anni '90, e in cui l'inflazione è persistentemente troppo bassa.
In altre parole, ovunque si guardi, permane un'immensa incertezza sulla direzione che prenderanno l'inflazione e i tassi di interesse. In ogni caso, è bene festeggiare le buone notizie. Ma l'economia mondiale non è ancora uscita indenne.
Quali conclusioni trarre per chi ascolta questo podcast?
Economisti, banchieri central e il semplice buonsenso suggeriscono che i tassi di interesse ed inflazione elevati rimarranno per qualche tempo (probabilmente per buona parte del prossimo anno) e dunque le scelte di finanza personale dovrebbero tenerne conto. I mercati anticipano e amplificano le tendenze attese e possono presentare andamenti difficili da prevedere nel breve termine. Questo ci suggerisce di applicare le ordinarie cautele nell’investimento dei propri risparmi con un ingresso graduale nei mercati azionari e limitato alle somme che possiamo impegnare per il lungo termine.
Vi ricordo che per chi desidera un servizio personalizzato di formazione o assistenza nelle scelte di finanza personale c’è anche il servizio di financial coach che si basa su una serie di conference call e di interazioni via email, prevede un compenso concordato in base alle esigenze specifiche, con pagamento annuale posticipato e quindi del tutto subordinato alla soddisfazione e al valore aggiunto percepito dal servizio.
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