Ottimismo Prematuro sui Mercati Finanziari
Il dato sull'inflazione ha innescato la corsa delle borse
La Finanza in Soldoni è un podcast di Informazione ed educazione finanziaria a cura di Massimo Famularo.
Un’editoriale dell’Economist suggerisce che sui mercati finanziari si possa diffondere un ottimismo prematuro rispetto alle condizioni sottostanti dell’economia. Ne faccio una sintesi e provo a elaborare lo spunto con riferimento al punto di vista delle famiglie e all’approccio divulgativo e semplificato di questo podcast.
Da quando l’inflazione ha ripreso a salire alcune parole sono diventate proverbiali come ad esempio il carattere “transitorio” che avrebbe dovuto avere l’inflazione nelle prime dichiarazioni delle banche centrali, il carattere “tardivo” della loro risposta e il “caricamento frontale” dei tassi rialzati troppo velocemente.
Oggi un vocabolo a cui fare attenzione è “head fake” che in inglese si usa per le finte di testa nello sport e nei mercati finanziari indica un movimento repentino a cui segue poi una correzione di segno opposto.
Alla fine della scorsa settimana, i dati sull’inflazione americana hanno fatto salire le borse di tutto il mondo. Il Nasdaq, l'indice di riferimento americano del settore tecnologico, è salito di quasi il 10% tra il 10 e l'11 novembre, il più forte rally di due giorni in oltre un decennio. Anche le valute più deboli, come la sterlina e lo yen, sono rimbalzate. Gli economisti si aspettavano che l'indice dei prezzi al consumo americano (Cpi) per il mese di ottobre aumentasse dello 0,6% rispetto al mese precedente. Invece, secondo i dati pubblicati il 10 novembre, è aumentato dello 0,4%. Si tratta di una differenza minima nel grande schema delle cose. Su base annua, equivale a un'inflazione di quasi il 5%, ben al di sopra dell'obiettivo della Fed di circa il 2%. Ma gli investitori si sono affrettati a estrapolare la possibilità che forse - ma solo forse - la morsa dell'inflazione sull'economia americana si stia indebolendo.
Anche le stime sul livello che i tassi raggiungeranno il prossimo anno è stato rivisto al ribasso.Prima del comunicato, molti pensavano che la Fed avrebbe portato i tassi al 5,5% entro la metà del 2023. Ora i rendimenti obbligazionari suggeriscono che il 5% è più probabile. Ciò avrebbe conseguenze positive di ogni tipo. Ridurrebbe la probabilità di una grave recessione in America e non solo, allenterebbe la pressione sulle banche centrali degli altri Paesi affinché tengano il passo della Fed e farebbe salire i prezzi degli asset rischiosi, soprattutto delle azioni.
Ma potrebbe trattarsi di una finta simile a quelle osservate nell'autunno dello scorso anno, quando l'inflazione è sembrata brevemente al top, e di nuovo questo luglio, quando hanno concluso prematuramente che la Fed avrebbe ridotto l'intensità della sua stretta. In entrambe le occasioni i rally del mercato si sono esauriti in breve tempo.
Che sia la volta buona? L'ipotesi che l’inflazione possa finalmente rallentare si basa su due elementi. In primo luogo, un'ampia gamma di prodotti sembra essersi avviata verso la deflazione. I prezzi dei beni di base - esclusi i beni alimentari ed energetici volatili - sono scesi dello 0,4% su base mensile in ottobre. In parte ciò riflette l'esaurimento delle impennate dei prezzi dell'era pandemica, come quelle delle auto usate. Ma i cali sono stati ampi: i mobili per la casa, l'abbigliamento e le forniture scolastiche sono diventati tutti più economici. Inoltre, i rivenditori segnalano un aumento delle scorte e una domanda dei consumatori un po' più debole. L'effetto netto sembra essere il tanto atteso calo dei prezzi dei beni.
Il secondo elemento è un segnale positivo sulla possibilità che ai prezzi dei servizi possano andare nella giusta direzione. Il principale motore dell'inflazione dei servizi, il costo degli alloggi, sembra perdere un po' di vigore. Il fattore più importante nel determinare i costi abitativi nei Cpi sono gli affitti, che hanno rappresentato più della metà dell'aumento dell'inflazione di fondo negli ultimi mesi. In ottobre gli affitti sono aumentati dello 0,7% su base mensile, in calo rispetto allo 0,8% di settembre. Questo dato è significativo perché suggerisce che le stime ufficiali stanno andando nella stessa direzione degli indicatori del settore privato a più alta frequenza, che hanno mostrato una decelerazione dell'inflazione degli affitti per quasi un semestre.
Tuttavia il giornale britannico invita a tenere i piedi per terra, l’esperienza dell’ultimo anno dimostra che i dati mensili possono essere facilmente distorti e poco indicativi. Inoltre il problema fondamentale per gli stati uniti rimn l'eccesso di domanda rispetto all'offerta. Il problema è ora più acuto nel mercato del lavoro, dove i posti di lavoro vacanti, estremamente elevati, sono alla base di forti aumenti salariali. Per contenere l'inflazione, il mercato del lavoro deve raffreddarsi.
L'economia è ben oltre il punto in cui si può godere della disinflazione senza danni collaterali. È teoricamente possibile che le aziende riducano le assunzioni senza spingere un numero enorme di persone a chiedere il sussidio. Tuttavia, un aumento della disoccupazione sembra inevitabile e, per la Fed, persino auspicabile.
Inoltre, il rally azionario è sgradito dal punto di vista della Fed. I mercati sono la principale cinghia di trasmissione della politica monetaria. Un forte aumento dei prezzi delle azioni rappresenta un allentamento delle condizioni finanziarie che, se mantenuto, renderebbe più facile per le aziende ottenere credito, in contrasto con gli sforzi della banca centrale. I funzionari della Fed conoscono bene la storia degli anni '70, quando l'America ha lottato con un'inflazione a due cifre e quando i banchieri centrali hanno commesso l'errore di allentare la politica non appena le pressioni hanno iniziato a diminuire, cosa che ha permesso all'inflazione di tornare a correre.
Jerome Powell, presidente della Fed, è determinato a evitare un errore simile. Durante la conferenza stampa del 2 novembre, dopo l'ultimo rialzo dei tassi, ha dichiarato non meno di quattro volte che la Fed ha ancora "strada da fare". Questo dovrebbe servire da monito per gli investitori improvvisamente presi dall'ottimismo. Anche se la lettura dell'inflazione più bassa del previsto segnerà un punto di svolta nella battaglia americana contro l'inflazione, si tratterà di una svolta graduale, non di una brusca inversione di tendenza.
Quali considerazioni trarre per chi segue questo podcast?
La solita che non bisogna attribuire troppa importanza alle oscillazioni di breve termine dei mercati finanziari perché questi tendono a reagire in modo esagerato rispetto ai segnali informativi che ricevono. In quest’ottica la scelta vincente si conferma quella di investire un po' alla volta per mediare l’ingresso nei mercati e mantenere una allocazione del proprio portafoglio coerente con le proprie preferenze e obiettivi di medio termine.
Possiamo dire che si vede la luce in fondo al tunnel? Difficile giudicare, periodicamente i mercati vogliono crederci e di conseguenza osserviamo dei cambi di direzione non sempre giustificati da informazini realmente rilevanti.
Personalmente suggerirei di dar credito alle dichiarazioni dei banchieri centrali che in modo abbastanza concorde sulle due sponde dell’oceano ci ricordano che il peggio non è ancora passato e che sarà probabilmente necessaria una recessione negli Stati Uniti, speriamo breve, per sconfiggere in modo stabile l’inflazione.
Per ricevere spunti idee e suggerimenti su come affrontare questo periodo continuate a seguire il podcast.
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