The Economist: Nuovo Assetto Macro
Inflazione Stabilmente più elevata e maggiore spesa pubblica
La Finanza in Soldoni è un podcast di Informazione ed educazione finanziaria a cura di Massimo Famularo.
Lo Special Report del’ Economist di questa settimana si concentra sulla possibilità che sia in atto un mutamento strutturale nell’economia mondiale. In questo podcast riassumo brevemente le considerazioni del giornale.
Da mesi si registrano turbolenze sui mercati finanziari insieme a crescenti segnali di stress nell'economia mondiale. Si potrebbe pensare che questi siano solo i normali segnali di una fase ribassista e di una recessione imminente. E’ tuttavia possibile, che si tratti dell’emergere di un nuovo paradigma rilevante quanto l’affermazione delle teorie Keynesiane dopo la seconda guerra mondiale e di una maggiore apertura dei mercati con la globalizzazione a partire dagli anni ’90 del secolo scorso.
Questa nuova prospettiva potrebbe consentire ai paesi più sviluppati di sfuggire alla trappola della bassa crescita degli anni 2010 e di affrontare grandi problemi come l'invecchiamento e il cambiamento climatico. Ma comporta anche rischi rilevanti, dal caos finanziario alle banche centrali in crisi e alla spesa pubblica fuori controllo.
I crolli sui mercati finanziari sono di una portata che non si vedeva da una generazione. L'inflazione globale è a due cifre per la prima volta in quasi 40 anni. La Federal Reserve, che ha tardato a reagire, sta ora aumentando i tassi di interesse al ritmo più rapido dagli anni '80, mentre il dollaro è ai massimi degli ultimi vent'anni, provocando il caos fuori dall'America.
Le azioni globali sono scese del 25% in termini di dollari, l'anno peggiore almeno dagli anni '80, e i titoli di Stato sono in procinto di vivere l'anno peggiore dal 1949. Oltre a perdite per circa 40 miliardi di dollari, si avverte la sensazione che l'ordine mondiale sia in pericolo, mentre la globalizzazione si sta ritirando e il sistema energetico è entrato in crisi dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia.
Tutto ciò segna la fine definitiva dell'era della tranquillità economica degli anni 2010. Dopo la crisi finanziaria globale del 2007-09, la performance delle economie ricche ha assunto un andamento debole. Gli investimenti delle imprese private sono stati ridotti, anche in quelle che hanno realizzato profitti da capogiro, mentre i governi non hanno colmato la lacuna: lo stock di capitale pubblico si è effettivamente ridotto in tutto il mondo, in percentuale del PIL, nel decennio successivo al crollo di Lehman Brothers. La crescita economica è stata lenta e l'inflazione bassa. Con il settore pubblico e privato che faceva ben poco per stimolare l'attività, le banche centrali sono diventate l'unico motore dell’economia. Hanno mantenuto i tassi di interesse a livelli bassissimi e hanno acquistato enormi volumi di obbligazioni a ogni segnale di difficoltà, estendendo sempre più il loro raggio d'azione nell'economia. Alla vigilia della pandemia, le banche centrali di America, Europa e Giappone possedevano ben 15 mila miliardi di dollari di attività finanziarie.
La sfida straordinaria della pandemia ha portato ad azioni straordinarie che hanno contribuito alla determinazione degli elevati livelli di inflazione che osserviamo oggi: stimoli e salvataggi governativi virtualmente senza limiti, modelli di domanda dei consumatori temporaneamente distorti e interruzioni nelle catene di approvvigionamento indotti dai lockdown. L'impulso inflazionistico è stato poi amplificato dalla crisi energetica, poiché la Russia, uno dei maggiori esportatori di combustibili fossili insieme all'Arabia Saudita, è rimasta isolata dai mercati occidentali. Di fronte al grave problema dell'inflazione, la Fed ha già aumentato i tassi dallo 0,25% al 3,25% e si prevede che li porterà al 4,5% entro l'inizio del 2023. A livello globale, anche la maggior parte delle autorità monetarie sta operando politiche restrittive.
Cosa succederà ora? Il timore immediato è quello di una reazione spropositata, quando il sistema finanziario, abituato ai tassi bassi, si sveglierà di fronte all'impennata del costo dei prestiti. Sebbene un istituto di credito di dimensioni non piccole come il Credit Suisse, sia sotto pressione, è improbabile che le banche diventino un grosso problema: la maggior parte di esse dispone di riserve di sicurezza maggiori rispetto al passato. I pericoli risiedono invece altrove, in un sistema finanziario di nuova concezione che si affida meno alle banche e più ai mercati fluidi e alla tecnologia. La buona notizia è che i vostri depositi non stanno per andare in fumo. La cattiva notizia è che questo sistema di finanziamento delle imprese e dei consumatori è opaco e ipersensibile alle perdite.
Lo si può già vedere nei mercati del credito. Gli investitori che acquistano titoli di debito, si stanno ritirando a causa del rischio eccessivo e questo spinge i tassi di interesse sui mutui e sulle obbligazioni spazzatura stanno salendo alle stelle. Il mercato dei "prestiti a leva", utilizzati per finanziare le acquisizioni aziendali, è in crisi: se Elon Musk acquista Twitter, i debiti che ne derivano potrebbero diventare un grosso problema. Nel frattempo i fondi d'investimento, compresi gli schemi pensionistici, rischiano di subire perdite sui portafogli di attività illiquide che hanno accumulato. Potrebbero esserci dei problemi nei meccanismi di trasmissione dele credito.Il mercato dei Treasury è diventato più irregolare, mentre le imprese energetiche europee hanno dovuto far fronte a pesanti richieste di garanzie sulle loro coperture. Il mercato obbligazionario britannico ha subito pesanti conseguenza a cause di scommesse complicate sui derivati effettuate dai suoi fondi pensione.
Se i mercati smettono di funzionare senza intoppi, ostacolando il flusso del credito o minacciando il contagio, le banche centrali possono intervenire: la Banca d'Inghilterra ha già fatto un'inversione a U ricominciando ad acquistare obbligazioni, contravvenendo al suo contemporaneo impegno di aumentare i tassi. La convinzione che le banche centrali non siano in grado di dare seguito ai loro discorsi severi è alla base dell'altro grande timore: che il mondo torni agli anni '70, con un'inflazione galoppante. Da un certo punto di vista si tratta di un'ipotesi allarmistica ed esagerata. La maggior parte dei previsori ritiene che l'inflazione in America scenderà dall'attuale 8% al 4% nel 2023, grazie al calo dei prezzi dell'energia e all'aumento dei tassi. Tuttavia, se da un lato le probabilità che l'inflazione arrivi al 20% sono minime, dall'altro c'è da chiedersi se i governi e le banche centrali riusciranno mai a riportarla al 2%.
Può quindi darsi che gli obiettivi di inflazione vadano rivisti o in ogni caso resi più flessibili.
Per capirne il motivo, basta guardare ai fondamentali di lungo periodo, al di là del baccano. Rispetto agli anni 2010, è in corso un aumento strutturale della spesa pubblica e degli investimenti. I cittadini che invecchiano avranno bisogno di più assistenza sanitaria. L'Europa e il Giappone spenderanno di più nella difesa per contrastare le minacce di Russia e Cina. Il cambiamento climatico e la ricerca della sicurezza faranno aumentare gli investimenti statali nell'energia, dalle infrastrutture rinnovabili ai terminali per il gas. E le tensioni geopolitiche porteranno i governi a spendere di più per la politica industriale. Tuttavia, anche se gli investimenti aumentano, la demografia peserà sempre di più sulle economie ricche. Le persone che invecchiano risparmiano di più e questo eccesso di risparmio continuerà a deprimere il tasso di interesse reale sottostante.
Di conseguenza, le tendenze fondamentali per gli anni 2020 e 2030 sono quelle di un governo più grande ma con tassi di interesse reali ancora bassi. Per le banche centrali questo crea un grave dilemma. Per riportare l'inflazione al 2% circa, il loro obiettivo, potrebbero essere costrette a una stretta monetaria tale da provocare una recessione. Ciò comporterebbe un elevato costo umano sotto forma di perdita di posti di lavoro e scatenerebbe un forte contraccolpo politico. Inoltre, se l'economia si sgonfia e finisce di nuovo nella trappola della bassa crescita e dei bassi tassi degli anni 2010, le banche centrali potrebbero di nuovo non avere sufficienti strumenti di stimolo. La tentazione ora è quella di trovare un'altra via d'uscita: abbandonare gli obiettivi di inflazione al 2% degli ultimi decenni e portarli modestamente, ad esempio, al 4%. È probabile che questo sia un punto all'ordine del giorno quando la Fed inizierà la sua prossima revisione della strategia nel 2024.
Questo nuovo mondo coraggioso, caratterizzato da una spesa pubblica un po' più elevata e da un'inflazione un po' più alta, avrebbe dei vantaggi. Nel breve periodo significherebbe una recessione meno grave o addirittura nessuna. E nel lungo periodo significherebbe che le banche centrali hanno più spazio per tagliare i tassi di interesse in caso di recessione, riducendo la necessità di acquistare obbligazioni e di effettuare salvataggi ogni volta che qualcosa va storto, che causano una distorsione sempre maggiore dell'economia.
Link di riferimento:
https://www.economist.com/leaders/2022/10/06/a-new-macroeconomic-era-is-emerging-what-will-it-look-like
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