Unicredit MPS salta trattativa col Tesoro
La soluzione di Sistema non supera i vincoli di mercato
In un comunicato stampa congiunto Unicredit e il Ministero del Tesoro hanno reso noto che la trattativa per l’acquisizione della partecipazione dello stato nel Monte dei Paschi di Siena è stata abbandonata. Sulla questione ci sono diverse letture politiche (si pensi al fatto che il segretario del PD letta correva per un seggio a Siena nel corso dell’ultima due diligence) in molti casi fuorvianti.
Attenendosi ai fatti il dissesto della Banca più antica del mondo (prendendo per buoni i claim del marketing) è il risultato di un processo durato diversi anni che ha fornito una dimostrazione plastica dei danni per la collettività che possono derivare da un eccesso di ingerenza da parte di partiti politici e amministratori locali nella gestione di imprese di grande dimensione, specie se operano in settori sensibili come la concessione del credito.
E’ difficile dire se la rovina sia iniziata con l’acquisizione a un prezzo eccessivo di Antonveneta o con altre operazioni societarie emblematiche come quella con Banca del Salento agli inizi degli anni 2000 oppure se sia solamente il risultato di alcune carenze strutturali nel processo di erogazione che hanno portato all’accumulo di una quantità eccessiva di crediti deteriorati.
Quello che è evidente e incontestabile sono i danni consistenti causati alla comunità locale da una strategia di gestione complessivamente orientata da alcuni centri di interesse politico piuttosto che alla creazione di valore per gli azionisti.
Difficile tuttavia dire che le criticità in termini di erogazione o di deterioramento del credito osservati nel Monte dei Paschi di Siena costituiscano un elemento eccezionale o particolarmente diverso da altre esperienze osservate nel nostro paese (dalle Popolari Venete a Carige passando per la Banca Popolare di Bari) quello che ad oggi è mancato e non si è riuscito a trovare nell’operazione con Unicredit è una soluzione di sistema.
Soluzione come quella che a suo tempo “salvò” il Banco di Napoli (dando vita alla SGA, Società Gestione Attivi che oggi è il principale braccio operativo del Tesoro nella gestione dei crediti deteriorati) grazie a IMI Sanpaolo o la banca di Roma (e prima il Banco di Sicilia) per il tramite della stessa Unicredit. Soluzione di sistema che non si trova in parte per le dimensioni dell’istituto, in parte per il ridotto numero di potenziali soggetti aggreganti (dopo la mossa, forse difensiva, di Intesa su UBI) e in parte per le mutate condizioni di mercato e più ridotti margini per un intervento statale.
La politica ha ottenuto che non si verificasse il fallimento di MPS al prezzo di circa 5,4 miliardi di ricapitalizzazione precauziona a carico del tesoro. Al tavolo con Unicredit è emerso semplicemente che il prezzo per scongiurare definitivamente quest’onta era semplicemente troppo elevato per i gusti del governo in carica.
In molti parlano di una proroga della scandenza di fine anno entro la quale lo stato avrebbe dovuto vendere la partecipazione, ma la storia recente ci insegna (a partire dal caso Alitalia sparita definitivamente come compagnia di bandiere per lasciare spazio alla piccola ITA) che i rinvii servono solo a rendere le soluzioni definitive più costose.
E’ verosimile che qualcosa delle insegne di MPS alla fine sopravviva, ma l’abbandono dell’ultima verosimile trattativa con un operatore di mercato lascia presagire che il perimetro sarà sempre più ridotto potenzialmente