La commissione Europea ha espresso un giudizio positivo sul piano presentato dal governo Draghi per accedere alle risorse del recovery fund. Dopo questa prima “promozione” il consiglio dell’Unione Europea avrà 4 settimane per fare propria la proposta di approvazione del piano. Compiuto questo passaggio procedere al pagamento di una prima tranche dei fondi pari a circa il 13% del totale, compatibilmente con il calendario delle emissioni dei titoli.
Visto che se ne parla tanto proviamo a riepilogare e chiarire bene di che cosa si tratta.
Lo scorso anno è stato varato un nuovo strumento di sostegno ai paesi più colpiti dalla pandemia noto come Next Generation EU. Si tratta di programma di finanziamenti e trasferimenti per un valore complessivo di 750 milioni, raccolti mediante emissioni di titoli di “debito comune”. Sommando questo importo al bilancio pluriennale dell’unione europea si raggiunge uno stimolo economico complessivo del valore di oltre 1800 miliardi.
In pratica, si tratta di emettere dei veri e propri Eurobonds, titoli garantiti in modo congiunto dai governi di tutti i paesi europei, per raccogliere fondi sui mercati finanziari e impiegarli sotto forma di prestiti e trasferimenti ai paesi che hanno avuto maggiori danni economici dalla pandemia. La portata storica di questo progetto è data in primo luogo dalla quantità senza precedenti del “debito comune” emesso, ma soprattutto dall’effetto di sussidio incrociato tra i diversi paesi, un meccanismo al quale i paesi dell’Europa centro settentrionale si erano sempre opposti: in pratica i più forti, come la Germania, daranno una mano ai più deboli, come l’Italia, a riprendersi dal duro colpo ricevuto dalla pandemia. Questo si verifica perché i paesi forti contribuiscono al meccanismo con una quantità di risorse maggiori di quelle che ricevono indietro, viceversa i più deboli ottengono benefici maggiori rispetto all’apporto che dovranno dare al meccanismo.
Chiarito lo schema teorico, ottenere le risorse del fondo nella pratica non è semplice. Occorre presentare un piano dettagliato sulle modalità con le quali verranno spesi i trasferimenti e i finanziamenti, e questo piano deve rispettare dei requisiti per essere approvato. Nel comunicato stampa della commissione leggiamo che il piano del governo draghi ha un valore complessivo di 191 miliardi di cui 122.6 a titolo di finanziamento (che dunque andrà rimborsato) e 68.9 a titolo di trasferimento (che dunque non dovrà essere restituito). Nel rispetto delle linee guida del programma il 37% dei fondi sarà destinato alla transizione ecologica, con efficientamento energetico degli edifici, riduzione delle emissioni nocive e utilizzo delle fonti rinnovabili, mentre il 25% sarà destinato alla transizione digitale con particolare riferimento alla diffusione delle reti di comunicazione veloci, alla connettività 5G e porteranno all’ammodernamento dei processi delle Pubblica Amministrazione, con specifico riferimento a sanità, giustizia e istruzione.
L’elemento più importante, che ha motivato l’approvazione del piano risiede nella credibilità delle riforme e degli investimenti proposti, che verosimilmente dovrebbero portare ad una maggiore crescita economica nel medio termine, consentendo di ripagare il debito contratto, ma anche ad una maggiore equità sociale con inclusione dei giovani e delle donne e riduzione delle disparità geografiche.
Per concludere, la buona notizia è che per il momento il governo draghi è riuscito nell’obiettivo di presentare un piano credibile e di ottenerne l’approvazione da parte della commissione. Salvo incidenti imprevisti questo giudizio dovrebbe essere confermato dal Consiglio con lo sblocco di una prima parte dei fondi che verranno erogati dopo l’emissione degli eurobond.
La criticità da tenere presente è che per ricevere le rate successive dei programma Next Generation EU dovremo dimostrare di aver raggiunto gli obiettivi intermedi previsti dal nostro piano e in mancanza di questo requisito perderemo l’accesso al beneficio.
Dunque c’è ancora molto da fare e il nostro paese dovrà dare prova di riuscire a tenere fede ai propri impegni in termini di riforme e investimenti programmati.
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