La vittoria degli azzurri agli europei arriva in momento storico molto particolare. La voglia di riscatto legata ai sacrifici fatti durante la pandemia, la prospettiva di un vasto programma di investimenti finanziato da uno sforzo comune a livello europeo e la presenza di una leadership autorevole e credibile, come non si vedevano nel nostro paese da molti anni si traduce in un clima generale di ottimismo.
Questo sentimento diffuso è per quanto difficile da misurare e da valutare costituisce un elemento molto positivo. Per decenni abbiamo vissuto lo sconforto di una crescita stagnante e il circolo vizioso di un rapporto conflittuale con le istituzioni europee, troppo spesso dipinte come guardiane di una austerità eccessiva e rappresentate come dei censori della nostra scarsa disciplina nella finanza pubblica
Il rovesciamento di questa prospettiva è di per sé un’ottima notizia e un valido punto di partenza.
Mente l’entusiasmo per i successi sportivi, che includono l’attivo in finale del tennista Berrettini, favoriscono la diffusione narrazioni trionfalistiche di rinascite azzurre e miracoli italiani, cominciano a circolare improbabili stime dell’impatto economico di questi fenomeni che superando il ragionevole entusiasmo sconfinano in quel che viene definico con terminologia inglese Wishful Thingkin
Per restare con i piedi per terra, in campo economico e sociale la partita dell’Italia non è ancora cominciata.
Le anomalie strutturali, regolamentari e istituzionali che appesantivano il nostro paese prima del covid sono ancora tutte al loro posto. Stiamo vivendo una tregua temporanea legata alla situazione eccezionale della pandemia, ma presto dovremo tornare a combattere la battaglia più difficile, quella conto noi stessi. Contro le disfuzioni che ci hanno impedito di crescere negli anni passati e hanno spinto lavoratori e imprese di eccellenza a lasciare il paese per esprimere il proprio potenziale.
Godiamoci il momento celebrando i successi sportivi, ma non lasciamoci inebriare al punto di dimenticare la realtà. Potremmo sintetizzare questo concetto amiguo in uno slogan: viva la nazionale e abbasso il nazionalismo. La prima ci ha ricordato come con il sacrificio e la perseveranza si può vincere. Il secondo ci inganna e ci sottrae alle nostre responsabilità portandoci al declino. Un percorso che fino al 2019 sembrava ineluttabile e che oggi invece potrebbe essere concretamente invertito se riusciamo ad affrontare un concreto percorso di riforma.
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2021-22 - La partita che l'Italia non ha ancora giocato
lug 13, 2021
La Finanza in Soldoni
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