Da Amazon ad Nvidia diverse azioni presentano quotazioni astronomiche se misurate con i metodi di valutazione tradizionali. Perché molti investiotri continuano a comprarle? Come mai alcune sembrano sfidare la gravità continuando a crescere anche per decenni?
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Un articolo recente dell’Economist riporta l’attenzione su questi titoli riproponendo un annoso dilemma: le azioni che al momento sembrano sopravvalutate, prima o poi “si sgonfieranno” ritornando su livelli più realistici e coerenti con i fondamentali, oppure sono valutate correttamente e stanno semplicemente anticipando la realizzazione di maggiori utili in futuro?
La risposta più convincente è che non esiste un modo univoco per stabilirlo in anticipo e il motivo principale è che non possiamo prevedere con certezza il futuro.
Le due ricerche che il settimanale britannico propone per spiegare questo fenomeno possono sicuramente fornirci elementi di valutazione utili, ma non ci offrono la soluzione definitiva per la questione.
Uno studio recente di Andrew Atkeson, Jonathan Heathcote e Fabrizio Perri, sostiene che i movimenti del prezzo e dei dividendi di un ampio indice azionario osservato tra il 1929 e il 2023 possono essere spiegati esclusivamente da un modello di dividendi futuri attesi (in particolare, il rapporto tra questi e il consumo aggregato). In altre parole, i prezzi si muovono solo quando gli investitori ricevono notizie che modificano le loro aspettative flussi di cassa attesi in futuro.
Si tratta di un modello più facile da gestire rispetto all’approccio tradizionale in base al quale il valore corrente di un'azione è dato dal valore attuale dei flussi di cassa futuri attesi, scontati in base a molteplici fattori quali ad esempio l'incertezza delle aspettative, il costo del capitale e la propensione al rischio degli investitori.
Le variazioni di uno di questi fattori si ripercuotono sui prezzi delle azioni. In particolare, se la propensione al rischio è elevata, i prezzi possono anche essere alti rispetto ai pagamenti attesi, semplicemente perché gli investitori sono in grado di assumersi più rischi e quindi sono felici di ricevere in cambio rendimenti bassi. Al contrario, se la propensione al rischio è bassa, gli investitori possono sentirsi incapaci di acquistare azioni anche se i rendimenti attesi sono elevati. Questa dinamica, da sola, può modificare sia i rendimenti che i rendimenti prospettici, senza che gli incassi futuri si modifichino.
Altre ricerche precedenti - in particolare una pubblicata nel 2011 da John Cochrane, all'epoca dell'Università di Chicago - hanno concluso che sono esclusivamente le variazioni di tali "tassi di sconto", piuttosto che la crescita o la riduzione dei dividendi, a far variare i rendimenti.
Come ci comportiamo allora di fronte a queste azioni “costose”? Come facciamo a capire se sono sopravvalutate?
L’atteggiamento più onesto, è riconoscere che non esiste un metodo più giusto di un altro per determinare se il valore corrente di un’azione sia valutato correttamente dal mercato. Alcune strategie hanno dato prova di successo nel tempo, come ad esempio quella associata al nome di Warren Buffett che si concentra sulle prospettive dell’azienda sottostante e cerca di acquistarne le azioni se la valutazione corrente risulta “ragionevole” rispetto ad alcune metriche tradizionali come, ad esempio, il rapporto tra il prezzo e gli utili. Ovviamente ci sarebbero da aprire almeno due capitoli su come valutare le prospettive dell’azianda e cosa possa voler mai dire prezzo ragionevole.
Questa rubrica non fornisce ricette facili per arricchirsi, ma piuttosto aiuta chi la segue a capire che questo tipo di ricette non esistono e che bisogna arrangiarsi con le nozioni e le informazioni di cui disponiamo.
Allora in che modo possiamo affrontare la questione delle azioni costose, basandoci sulle nozioni più solide e sulle informazioni di cui disponiamo?
Partendo dalle basi. Sappiamo che nel lungo periodo le azioni creano maggior valore rispetto alle altre asset class e che nel breve termine sono soggette a oscillazioni imprevedibili. Dunque, impieghiamo in azioni la parte del nostro portafoglio che vogliamo destinare al lungo periodo e per la quale siamo disposti a tollerare qualche oscillazione nel breve.
Individuato l’importo che possiamo destinare alle azioni, la strada più semplice è acquistare un prodotto semplice e poco costoso, ad esempio un ETF, che replichi l’andamento delle borse mondiali. A questo punto in termini di costruzione di portafoglio potremmo anche fermarci; tuttavia, non abbiamo ancora risposto alla domanda del titolo. Allora progressivamente potremmo intervenire sulla porzione azionaria del nostro portafoglio allocandone una parte su attività più rischiose, posto che ci attendiamo di ricevere un rendimento maggiore a fronte del maggior rischio sopportato.
Potremmo ad esempio destinare 50% della componente azionaria all’ETF che replica le borse mondiali e impiegare l’altra metà in prodotti più specifici. Ad esempio, un 25% su azioni statunitensi o dei paesi emergenti, se riteniamo che possano avere prospettive migliori rispetto al resto del mondo. Procedendo allo stesso modo, dopo aver allocato 50% alle borse mondiali, 25% alle borse o ai settori che hanno un potenziale maggiore, potremmo considerare di impiegare il 25% che residua su singole azioni.
L’esempio era puramente indicativo, tuttavia chiarisce un percorso razionale per arrivare a valutare l’investimento in singole azioni:
dovremmo investire in azioni solo dopo esserci assicurati di avere una riserva di liquidità per le emergenze
dovremmo limitare l’investimento azionario alla parte di portafoglio che possiamo mantenere investita nel lungo periodo e per la quale siamo disponibili a sopportare variazioni
dovremmo considerare l’investimento in azioni singole solo dopo aver valutato la convenienza rispetto a investimenti più diversificati come gli ETF azionari e solo nel caso in cui disponiamo di solidi elementi per ritenere che il rendimento maggiore sia sufficiente a compensare il maggior rischio legato all’investimento in singole azioni
Da ultimo, venendo alle azioni “costose”, la principale considerazione da fare riguarda la concreta possibilità che l’azienda sottostante mantenga sia in grado nel lungo periodo di generare flussi di cassa sufficienti a giustificare le quotazioni odierne.
Per riassumere, non esiste una ricetta facile per trovare l’azione giusta o per capire se le megacap di oggi sono un buon investimento per domani. Esistono però solidi principi per affrontare in modo razionale le proprie decisioni di investimento e questo podcast e newsletter li spiegano e applicano tutte le settimane. Se l’approccio vi convince potete continuare a seguire la rubrica.
Il contenuto del podcast e della newsletter non va inteso in nessun caso come raccomandazione di investimento o consulenza finanziaria. Se questo progetto vi piace potete iscrivervi al canale Youtube di Massimo Famularo e segnalare il vostro gradimento nei commenti ai video
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