La commissione Europea ha chiesto a Mario Draghi di evidenziare i fattori di debolezza nell'economia del vecchio continente e di suggerire misure per renderla più forte e competitiva. Mentre aspettiamo che l’Europa si decida ad affrontare e risolvere i propri problemi di competitività e crescita, si potrebbe concludere che è meglio investire altrove. Trovate i dettagli del titolo che ho scelto questo mese per gli abbonati a pagamento nel podcast e nella newsletter dedicati.
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Questa rubrica è indipendente dalle società di gestione del risparmio perché non riceve commissioni per la segnalazione di prodotti o servizi (ringrazio i lettori che hanno sottoscritto un abbonamento a pagamento). É priva di conflitti di interesse perché non formula nessuna raccomandazione di investimento (al più nelle sezioni dedicate vi racconto come investo io).
Oggi vi dimostro di non dipendere neanche dalla retorica nazionalista, argomentando che forse dal rapporto Draghi possiamo concludere che non conviene investire in Europa (figuriamoci in Italia)
Cosa dice il rapporto draghi?
L'Europa ha un problema di crescita economica che è diventato preoccupante dai primi anni 2000. Ci sono stati tentativi di intervento, ma ad oggi non hanno prodotto risultati apprezzabili. Nel confronto con gli Stati Uniti, il problema principale risiede in un nella minore crescita della produttività in Europa. Su base pro capite, dal 2000 il reddito reale disponibile è cresciuto quasi il doppio negli Stati Uniti rispetto all'UE. Per la maggior parte di questo periodo, il rallentamento della crescita è stato visto come un inconveniente, ma non come una calamità, anche per la presenza di alcuni fattori mitiganti come la crescita delle esportazioni verso le aree del mondo più dinamiche, l’ingresso di un numero maggiore di donne nella forza lavoro, la riduzione della disoccupazione e un equilibrio geopolitico favorevole, implicitamente garantito dagli investimenti in difesa degli USA.
Questo scenario positivo e però cambiato negli ultimi anni. L'era della rapida crescita del commercio mondiale sembra essere passata, e le imprese dell'UE si trovano ad affrontare sia una maggiore concorrenza dall'estero che un minore accesso ai mercati esteri. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha modificato gli equilibri geopolitici mettendo a nudo la dipendenza delle nazione europee dai fornitori di energia. Sul piano tecnologico l'Europa si è lasciata sfuggire la rivoluzione digitale guidata da Internet e gli aumenti di produttività che ha portato: infatti, il divario di produttività tra l'UE e gli USA è in gran parte spiegato dal settore tecnologico. L'UE è debole nelle tecnologie emergenti che guideranno la crescita futura. Solo quattro delle prime 50 aziende tecnologiche del mondo sono europee.
Quali sono i principali problemi del vecchio continente
L'UE sta entrando nel primo periodo della sua storia recente in cui la crescita non sarà sostenuta dall'aumento della popolazione. Entro il 2040, si prevede che la forza lavoro si ridurrà di quasi 2 milioni di unità all'anno. Dovremo puntare maggiormente sulla produttività per guidare la crescita. Se l'UE mantenesse il suo tasso medio di crescita della produttività dal 2015, sarebbe sufficiente a mantenere il PIL costante solo fino al 2050, in un momento in cui l'UE si trova ad affrontare una serie di nuovi investimenti che dovranno essere finanziati attraverso una crescita più elevata.
Per digitalizzare e decarbonizzare l'economia e aumentare la nostra capacità di difesa, la quota di investimenti in Europa dovrà aumentare di circa 5 punti percentuali del PIL, si tratta di una cifra senza precedenti: per fare un confronto, gli investimenti aggiuntivi forniti dal Piano Marshall tra il 1948-51 ammontavano a circa l'1-2% del PIL all'anno.
Se l'Europa non riesce a diventare più produttiva, saremo costretti a scegliere. Non potremo diventare contemporaneamente leader nelle nuove tecnologie, faro della responsabilità climatica e attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni.
Quali le soluzioni proposte?
In primo luogo - e soprattutto - l'Europa deve riorientare profondamente i suoi sforzi collettivi per colmare il divario di innovazione con gli Stati Uniti e la Cina, soprattutto nelle tecnologie avanzate. L'Europa è bloccata in una struttura industriale statica, con poche nuove imprese che sorgono per sconvolgere i settori esistenti o sviluppare nuovi motori di crescita. In effetti, negli ultimi cinquant'anni non c'è stata nessuna società dell'UE con una capitalizzazione di mercato superiore a 100 miliardi di euro che sia stata creata da zero, mentre tutte e sei le società statunitensi con una valutazione superiore a 1.000 miliardi di euro sono state create in questo periodo.
La seconda area di intervento è un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività. Se agli ambiziosi obiettivi climatici europei corrisponderà un piano coerente per raggiungerli, la decarbonizzazione sarà un'opportunità per l'Europa. Ma se non riusciamo a coordinare le nostre politiche, c'è il rischio che la decarbonizzazione sia contraria alla competitività e alla crescita.
La terza area di intervento è l'aumento della sicurezza e la riduzione delle dipendenze. La sicurezza è un prerequisito per una crescita sostenibile. L'aumento dei rischi geopolitici può aumentare l'incertezza e frenare gli investimenti, mentre i grandi shock geopolitici o gli arresti improvvisi del commercio possono essere estremamente dirompenti. Con l'affievolirsi dell'era della stabilità geopolitica, aumenta il rischio che la crescente insicurezza diventi una minaccia per la crescita e la libertà.
Che conclusioni trarre per chi segue la rubrica ?
Dei problemi che evidenzia il report, se interessa a chi segue la rubrica (segnalatelo via email mfamularoblog@gmail.com o nei commenti su Youtube) e delle soluzioni proposte parlerò in modo più approfondito in futuro. Per il momento resta una banale constatazione: se l’Europa ha questi problemi e prospettive, forse non è un buon posto dove investire. In un episodio precedente ho parlato del home country bias, ossia della tendenza a dare un peso eccessivo ai titoli del paesi in cui si risiede, questo vale anche di più per chi risiede in un’area con prospettive di crescita incerte
Alla luce delle analisi del Report Draghi i residenti dei paesi Europei dovrebbero agire in modo opposto e attribuire ai titoli dell’area EU un peso inferiore quando valutano il bilanciamento del proprio portafoglio. Restano valide tutte le considerazioni fatte in passato sulla diversificazione e sulla opportunità e convenienza di non mettere tutte le uova nello stesso paniere, tuttavia è abbastanza evidente che, per la parte dei nostri soldi che vogliamo destinare alla crescita di lungo periodo, attualmente le azioni Europee presentano prospettive meno attraenti rispetto a quelle di altri paesi e in particolare degli Stati Uniti.
Patriottismo o interesse individuale?
Qualcuno potrebbe sentirsi un traditore e la mera costatazione che investire in Europa sia penalizzante per i risparmiatori risulta sicuramente sgradevole. Tuttavia, uno degli obiettivi di questa rubrica è appunto quello di parlare evitando la retorica dei politici e dei commentatori che diffondono narrazioni di comodo. Quello che dovremmo ricordare è che sosteniamo il “progetto Europa” tutti i giorni lavorando e pagando le tasse e che a livello individuale, quando dobbiamo perseguire una gestione efficiente dei nostri risparmi, non dovremmo lasciarci influenzare da considerazioni emotive o ideologiche.
Un ragionevole compromesso, che risponde anche a principi di razionalità economica, potrebbe essere di tenere in Europa la quota del nostro patrimonio che allochiamo su strumenti monetari e quella che vorremmo impiegare in strumenti obbligazionari. Questi ultimi, se acquistati direttamente, con riferimento ai titoli di stato hanno anche un beneficio fiscale. Per quanto riguarda le azioni, tutte le informazioni di cui disponiamo sembrano indicare che è meglio puntare all’estero e in particolare sugli Stati Uniti.
Per riassumere:
L’Europa ha davanti sfide importanti e come cittadini e risparmiatori dovremmo prestare grande attenzione agli sviluppi futuri
Sul piano della costruzione dei portafogli le debolezze del vecchio continente indicano che al momento, per gli investimenti azionari, è preferibile guardare oltre oceano.
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Per ringraziare gli abbonati a pagamento (al podcast e/o alla newsletter) questo mese vi parlo di un’azione che ho in portafoglio e commento la recente raccomandazione di acquisto formulata di recente dal sito Mootley Fool. Trovate i dettagli dopo il paywall della newsletter.